Inquadrato tra i disturbi del sonno e definito come attività parafunzionale, il bruxismo costituisce oggi un’importante area di comune interesse, che richiede alla professione odontoiatrica e agli psicologi di trovare un linguaggio condivisibile per affrontare sintomi che possono assumere connotati anche socialmente rilevanti.
- Bruxismo: patologia del sonno, odontoiatrica o psicosomatica?
- Introduzione: il ruolo degli stressors nel benessere della persona
- Risposte organiche allo stress: le ghiandole surrenali e la tensione muscolare
- L’intervento con il training autogeno
- La distensione
- Conclusioni
- Bibliografia
Bruxismo: patologia del sonno, odontoiatrica o psicosomatica?
Il bruxismo è quella patologia del sistema masticatorio caratterizzata da serramento e/o digrignamento dei denti o da movimenti a bocca vuota, di tipo masticatorio, periodici e stereotipati. Attualmente viene classificato dall’ASDA (American Sleep Disorders Association) tra le parasonnie.
L’intenso ed esteso consumo dentale sino, nei casi più gravi, all’esposizione pulpare con conseguenti algie dentali, la rottura delle varie terapie che il dentista è chiamato ad eseguire su tali pazienti e una sintomatologia dolorosa più o meno imponente a carico dell’ATM e della muscolatura ad essa connessa, rendono questa patologia ad alto impatto distruttivo del sistema masticatorio, con tutto ciò che ne consegue intermini di disagio funzionale specifico e psicologico.
Sintomi associati al bruxismo sono stanchezza, fatica, dolore mattutino e ipertrofia dei muscoli masticatori ai quali si associano frequentemente ipersensibilità dentale e cefalea di tipo tensivo.
Per quanto riguarda l’eziologia, la maggior parte delle teorie attribuisce al bruxismo una genesi multifattoriale, discriminando tra fattori periferici (anatomia, occlusione dentale) e centrali (SNC, psicologici). Nonostante ciò la teoria di Ramfjord, basata sulle interferenze occlusali come importante fattore eziologico, ha fornito per decenni la base scientifica delle terapie del bruxismo. Più recentemente sono state prodotte prove scientifiche di come la rimozione delle interferenze non modifichi il bruxismo e di come l’inserimento di interferenze occlusali artificiali (bites), provochi una diminuzione e non un aumento dell’attività muscolare nel 90% dei soggetti sottoposti a tale applicazione.
In uno studio sul bruxismo in relazione alla fisiologia del sonno, è stato dimostrato come nel sonno non-REM vi sia un’associazione tra episodi di bruxismo e arousal (improvvise diminuzioni della profondità del sonno), con un aumento della frequenza cardiaca e del movimento degli arti. Ciò suggerisce che gli arousal periodici siano il meccanismo fisiologico che ospita al suo interno gli episodi di bruxismo, come avviene in altre parasonnie.
Esperimenti clinici controllati con SPECT (indagine tomografica ad emissione di singoli protoni) hanno indicato un possibile ruolo dei sistemi dopaminergici centrali nella genesi del bruxismo. Un’asimmetria nell’espressione dei recettori dopaminergici D2 a livello del nucleo striato mesencefalico è stata documentata nei bruxisti similmente a quanto trovato in altre malattie del movimento, come per esempio il torcicollo spasmodico. Basse dosi di bromocriptina (agonista dei recettori dopaminergici usato nella terapia del morbo di Parkinson, diminuisce la rigidità muscolare) hanno diminuito il bruxismo, come anche il propranololo. Il Propranololo è un beta-bloccante pieno, cioè blocca l'azione della adrenalina nei recettori beta che sono sparsi nel corpo nei musculi, cuore, bronchi e cervello. Recentemente hanno scoperto che il propranololo agisce bloccando i recettori dell'adrenalina dell'Amigdala, una ghiandola cerebrale dove si elaborano i processi di lotta e fuga. Bloccando questi recettori l'individuo "sente" meno agitazione soprattutto a livello fisico come: cuore in gola, agitazione e rossore.
Un aumento del bruxismo è stato associato all’uso cronico di antagonisti della dopamina (come gli antipsicotici), di L-dopa (precursore della dopamina) e di SSRI (antidepressivi, classe degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina ). Questi dati suggeriscono che la dopamina, in quanto tale o come precursore della noradrenalina e dell’adrenalina, puo' essere coinvolta in questo disturbo, ma i meccanismi rimangono ancora sconosciuti.
Per quel che riguarda i meccanismi colinergici durante lo stress, si ipotizza una aumentata sintesi periferica di acetilcolinica (Ach) a seguito di un ridotto turnover della ACh cerebrale e dell' accresciuto efflusso di colina, il suo precursore, dal cervello. Una maggiore disponibilita' di acetlcolina nel muscolo massetere potrebbe essere responsabile delle fascicolazioni spontanee che si possono osservare in molti individui nevrotici in condizione di riposo della GTM. I neurotrasmettitori coinvolti nel bruxismo sono gli stessi che sono coinvolti nello stress: GABA (che negli esseri umani GABA è anche direttamente responsabile per la regolazione del tono muscolare) come il primo a rispondere allo stress con riduzione della inibizione dei recettori A GABAergici; di nuovo il GABA per l' aumento della inibizione dei recettori B GABAergici, per questa via inibendo il turnover della ACh, della dopamina e della serotonina. Quest' ultima monoamina cerebrale non sembra direttamente implicata nel bruxismo.
E’ stato inoltre dimostrato che nei fumatori, responsabile la nicotina, la prevalenza di bruxismo è doppia rispetto ai non fumatori, con un numero di episodi di bruxismo per notte maggiore fino a 5 volte. Anche in questi casi si potrebbe ipotizzare un aumento del tono dopaminergico.
In un’ottica psicodinamica la bocca del bruxista è quell’organo in cui la mente è possibile che vada a somatizzare un suo disagio: il digrignare i denti racconta qualcosa di spiacevole che da sveglio non riesce ad individuare, qualcosa che ogni notte, attraverso il suo inconscio, tenta di triturare per poterla finalmente mandare giù e digerire, ovvero qualcosa verso la quale serra i denti, come in una prova di resistenza alla quale, instancabilmente, si sottopone. Attraverso i meccanismi della rimozione e della negazione, il contenuto emotivo inaccettabile non viene mentalizzato (elaborato e portato alla coscienza), ma viene estinto indirizzando la scarica neuro-vegetativa che originariamente accompagnava l’emozione su un organo bersaglio, in questo caso la bocca.
Per quanto attiene ai fattori psicologici quindi quali ansia, stress, aggressività, essi sono spesso considerati come cofattori nell’eziologia del bruxismo.
Introduzione: il ruolo degli stressors nel benessere della persona
Gli stimoli stressori sono definiti come i fattori che costringono l’organismo all’adattamento, possono essere di natura fisica, psicologica o sociale, e risvegliano nell’organismo una reazione di allarme che lo rende pronto per la cosiddetta “risposta di lotta o fuga”. Questi stimoli quindi mettono l’individuo in una condizione di stress che può condurre ad un logorìo via via maggiore e, se accompagnato ad una predisposizione, a qualunque tipo di malattia. Un capitolo della medicina moderna che diventa sempre più importante è infatti quello della psicosomatica: lo studio delle malattie che, pur manifestandosi con disturbi organici (somatici), derivano da problemi emotivi (psichici).Queste malattie possono essere considerate come un aspetto delle reazioni dell’individuo a situazioni di stress.
Da chiarire il fatto che anche le esperienze piacevoli possono agire da stressori, nel senso che esse rappresentano un mutamento e richiedono che l’organismo si adatti. Inoltre nell’essere umano c’è un bisogno innato di ciclicità e di novità, che mantengono l’individuo in uno stato di positiva stimolazione. La carenza di stimoli funge in sé da fattore stressante. Cos’è allora che rende dannosa l’esposizione a tali fattori?Sicuramente il superamento di un certo limite di tollerabilità da parte dell’individuo, che tramuta lo stato di attivazione in agitazione e angoscia; inoltre se la costanza di risposta allo stress è evocata troppo di frequente, o mantenuta per un periodo troppo lungo, essa costituisce un fattore di rischio, in quanto mantiene l’organismo in un costante stato di allarme senza adattamento.
Gli stressors che più influiscono sullo stato di salute psicofisica della persona sono quelli che intervengono nel suo ambiente familiare durante il suo sviluppo. Genitori iperprotettivi o affettivamente inadeguati, abbandoni, abusi, instabilità nei rapporti e nell’assetto familiare ecc…possono favorire nell’individuo l’insorgenza di una serie di disturbi psicosomatici e altre psicopatologie.
Risposte organiche allo stress: le ghiandole surrenali e la tensione muscolare
Nella risposta agli stressors è coinvolto tutto l’asse neuro-ormonale.
La corteccia delle surrenali risponde allo stressor con l’aumento nel sangue dei livelli di cortisolo. Alcuni dei più importanti effetti del cortisolo si hanno sul metabolismo organico:
1. Stimola la disintegrazione delle proteine, derivandone energia
2. Facilita la stimolazione della glicogenesi
3. Inibisce l’assunzione e l’ossidazione di glucosio da parte di molte cellule del corpo, ma non da parte del cervello.
Queste reazioni servono all’organismo per fronteggiare condizioni stressanti come fornire glucosio in caso di digiuno o amino-acidi per riparare i tessuti danneggiati.
La parte midollare delle surrenali reagisce agli stressori aumentando la secrezione di adrenalina e noradrenalina. L’attività di questi due ormoni potenzia quella del sistema nervoso simpatico, cioè la cosiddetta “risposta di lotta o fuga”:
1. diminuzione della temperatura cutanea nelle mani e nel volto dovuta alla vasocostrizione
2. aumento del battito cardiaco
3. blocco della motilità digestiva
4. Aumento della sudorazione
La tensione muscolare indica lo stato di contrazione dei muscoli scheletrici in conseguenza degli impulsi nervosi che ricevono di continuo. Il grado di tensione muscolare cresce con il livello vigilanza e di difficoltà del compito che riteniamo di dover affrontare. Anche il solo pensiero dell’azione è associato all’aumento dell’attività elettrica nei muscoli interessati in quei movimenti.
Fino ad un certo punto il tono muscolare è utile per controllare i movimenti, dato che c’è meno flaccidità, ma se diventa esagerato finisce per disturbarne la coordinazione, provocando scatti spasmodici o tremori. La tensione inoltre non si limita ad una zona, ma si diffonde al corpo intero: le mascelle sono serrate, la fronte corrugata, la schiena eretta e il collo rigido. In particolare i muscoli del collo indicano in modo preciso qual è il livello generale del tono muscolare. Questi muscoli ricoprono un’importanza fondamentale nella coordinazione dei movimenti e nella postura corporea, in quanto bisogna ricordare che la testa è una struttura pesante e il suo equilibrio determina l’equilibrio di tutto il corpo, inoltre essa contiene la maggior parte degli organi sensori della distanza e si volta anticipando i movimenti corporei. Questi legami testa-collo-tronco sono molto importanti perché il collo è un punto cruciale per lo studio della tensione muscolare, oltre che fornirci un segno della condizione emotiva dell’individuo. Il suo tono ci dice qual è la sua predisposizione all’azione, un aspetto dell’attivazione generale, o stato di allarme. Uno studio di Alexander Lowen sul linguaggio del corpo sostiene che la contrattura dei muscoli della nuca e dei metameri dorsali alti è un tipico sintomo di ansia e di ansia-depressione, e il suo rilassamento induce riduzione dell’ansia e senso di benessere. Questa zona è definita “croce nucale”.
In sintesi nei momenti di risposta agli stressors lo stato generale dell’organismo si modifica: i battiti cardiaci diventano più forti e veloci, la pressione sanguigna aumenta, il sistema ormonale reagisce con scariche di adrenalina, la muscolatura del corpo è tesa, soprattutto i muscoli mimici, i movimenti sono bruschi e rozzi. Tale comportamento rispecchia la tensione globale dell’individuo, sia nell’attività muscolare, sia nelle funzioni vegetative, sia nel grado di tensione emotiva.
La distensione
La distensione è definita come il conseguimento di un tono di riposo ed una diminuzione della tensione sia muscolare che psichica, rendendo le energie disponibili all’individuo per le sue attività.
I metodi psicologici di distensione possono essere raggruppati in due grandi categorie:
1. Metodi in cui la distensione è eteroindotta, cioè provocata da fattori esterni al soggetto, si basano sulla suggestione e trovano il loro rappresentante più valido nell’ipnosi. E’ proprio dall’osservazione di questi fenomeni che si è giunti anche agli esercizi di training autogeno.
2. Metodi in cui la distensione è autoindotta, cioè viene provocata dal soggetto stesso, egli deve impegnarsi attivamente. Di questo gruppo fa parte il training autogeno, il cui ideatore è il medico e psicologo tedesco Johannes E. Shultz.
L’intervento con il training autogeno
Il training autogeno di Shultz è una delle tecniche di rilassamento globale più valide e diffuse. Esso è un apprendimento graduale di una serie di esercizi di distensione e immersione (concentrazione) psichica passiva, allo scopo di portare progressivamente al realizzarsi di spontanee modificazioni del tono muscolare, della funzionalità vascolare, dell’attività cardiaca e polmonare, dell’equilibrio neurovegetativo e dello stato di coscienza. Queste modificazioni consentono a chi lo pratica di raggiungere una condizione di:
1. Riposo
2. Auto distensione (attraverso lo smorzamento delle risonanze affettive)
3. Autoregolazione delle funzioni corporee involontarie
4. Miglioramento delle prestazioni
5. Riduzione del dolore
6. Audeterminazione (tramite formulazione di proponimenti)
7. Autocritica e autocontrollo
Il corso che viene proposto si propone di diminuire la tensione muscolare e il dolore associato in pazienti affetti da bruxismo, nonché di migliorare la qualità del sonno di questi soggetti. Esso si compone di 12 incontri settimanali della durata di un’ora ciascuno, suddivisi come segue:
4 incontri sull’apprendimento della pesantezza
4 incontri sull’apprendimento del calore
1 incontro sulla regolazione del ritmo respiratorio
1 incontro sulla distensione del plesso solare (visceri addominali)
1 incontro sulla regolazione del ritmo cardiaco e sulla fronte fresca
1 incontro per la formula ridotta
Questi esercizi sono definiti inferiori o somatici, in quanto la concentrazione mentale è rivolta alle particolari sensazioni somatiche relative ad ogni esercizio, a cui Shultz fa seguire la serie degli esercizi superiori, orientati sulla concentrazione del vissuto psichico, non trattati in questa sede.
Col primo esercizio, quello della pesantezza, si induce uno stato di ipotonia sempre più generalizzato e ad uno stato di calma e passività psichica con restringimento del campo di coscienza.
Durante l’esercizio della pesantezza i soggetti percepiscono progressivamente e spontaneamente anche una sensazione di calore. Questo avviene in quanto l’ipotonia raggiunta non riguarda solo la muscolatura volontaria, ma si estende alla muscolatura delle pareti vascolari, la quale determina una iperemia con aumento della temperatura locale.
L’esercizio del calore consiste nell’allenamento a percepire queste modificazioni circolatorie periferiche.
Allentandosi la tensione psichica e neuromuscolare si modifica anche la funzionalità respiratoria. Lo stato di calma emotiva e passività psichica consente al respiro di diventare più spontaneo, meccanico, ritmico e autonomo. L’esercizio favorisce la sensazione del corpo come massa calda e pesante che respira da sola, distaccata da una psiche vuota di pensieri, quasi assente.
L’esercizio del plesso solare consente una distensione, equilibrio e armonia funzionale degli organi addominali. La sua importanza si comprende in quanto le nostre emozioni, irradiandosi a tutti gli organi addominali, determinano spasmi, contrazioni e in genere tutti quei disturbi psicologici con risposte neurovegetative.
Conl’esercizio della regolazione del ritmo cardiaco la persona si concentra sui battiti del proprio cuore. L’allenamento all’introspezione somatica porta alla percezione che il cuore batte calmo, ritmico e regolare.
L’ultimo esercizio contrappone una gradevole sensazione di fresco alla fronte e distensione della pelle del viso, in contrapposizione al calore e alla tensione percepiti negli stati di ansia e di stress. La testa viene percepita come staccata dalla massa calda e pesante del corpo.
Il corso di training autogeno pone le basi sulle quali ogni partecipante può costruire le sue personali formule ridotte, parziali e supplementari, che verranno concordate nell’ultimo incontro.
In ogni incontro si apprende un esercizio o una parte di esso, su cui poi la persona si andrà ad allenare con una frequenza di 2 volte al giorno, possibilmente prima di coricarsi e appena svegli. L’elaborazione individuale richiede spesso molto più tempo dell’apprendimento degli esercizi di base. A questo proposito verranno effettuate 2 sedute di follow up a distanza di un mese e due mesi dalla fine del corso. Durante la fase di follow up può essere sufficiente un esercizio giornaliero di mantenimento.
Conclusioni
Il bruxismo è una di quelle patologie che tutt’oggi risentono della scissione tra professione medica e psicologica. Come abbiamo visto esso è un disturbo che coinvolge varie aree della salute di chi ne è affetto e dovrebbe essere trattato con un approccio integrato di varie figure professionali. La proposta di affiancare l’intervento dell’odontoiatra gnatologo a quello dello psicologo nasce proprio con l’intento di restituire l’unità biopsichica alla persona, soprattutto quando ci si trova a trattare un disturbo strettamente legato alle sue dinamiche emotive e quando queste stesse dinamiche, rimosse e non mentalizzate, contribuiscono alla genesi di una patologia che i pazienti stessi considerano “somatica”. L’utilizzo del training autogeno consente a queste persone di prendere contatto con la loro realtà corporea e psichica insieme, di esperirne i legami e di imparare come lo stato emotivo e il tono affettivo possano produrre modificazioni del tono neurovegetativo e muscolare e, a lungo termine, del loro stato di salute.
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